L’impegno della comunità scientifica che si occupa dell’atrofia muscolare spinale è quello di scrivere una nuova storia della malattia. Ma capiamo meglio di cosa si tratta.
L’atrofia muscolare spinale (chiamata “di tipo 5q” nella sua forma più comune, in virtù della localizzazione del gene causante la patologia) viene definita per criteri di frequenza come una malattia neuromuscolare rara (4-10 casi per 100.000 nuovi nati) e di origine genetica, trasmessa secondo modalità autosomica recessiva, ossia con una probabilità per due genitori sani, ma portatori dell’alterazione genica, di avere un figlio affetto pari al 25%.
Esaminando nel dettaglio le alterazioni alla base della patologia, si scopre che essa è causata da mutazioni a carico del gene SMN1 (Survival Motorneuron 1), situato sul cromosoma 5q. La proteina codificata da SMN1, chiamata SMN, sembra essere coinvolta nella sopravvivenza dei motoneuroni del midollo spinale, oltre che nel mantenimento della loro fisiologica attività di comunicazione dell’ordine motorio, impartito dal sistema nervoso centrale e diretto verso il muscolo.
Tuttavia la variabilità della compromissione osservata nelle diverse forme di SMA 5q sembrerebbe dipendere, almeno in parte, dal numero di copie di un gene “di riserva”, denominato SMN2, diverso dal gene principale a causa di una singola variazione all’interno della sua struttura (esone 7). Nella popolazione generale, la proteina SMN deriverebbe per la maggior parte dal gene SMN1, mentre il gene SMN2 produrrebbe, per circa il 90%, una proteina “tronca” (ossia non funzionante per l’assenza di una componente e causata proprio dall’anomalo esone 7). Tale meccanismo potrebbe dare ragione del fatto che, in generale, a un più alto numero di copie di SMN2 corrisponderebbe una minor gravità del quadro clinico.
In base all’entità dei sintomi si distinguono classicamente almeno quattro forme (nella classificazione più estesa si distingue la SMA di tipo 0, a esordio ancora antecedente rispetto alla nascita, cioè prenatale): SMA di tipo 1 (con presentazione dei primi sintomi entro i sei mesi di età e a rapida progressione, con frequente compromissione anche dei muscoli respiratori e della deglutizione), SMA di tipo 2 (generalmente manifesta tra i 3 e i 15 mesi di età, con massima funzione motoria raggiunta definita come sitting, cioè una posizione seduta e autonoma, senza sostegni esterni), SMA di tipo 3 (a esordio variabile dai 18 mesi fino all’età adulta e pazienti detti walkers, ossia in grado di camminare autonomamente, almeno fino a un certo punto della loro vita) e SMA di tipo 4 (a esordio tardivo e, generalmente, con conservata capacità di deambulare fino all’età anziana).
La diagnosi di atrofia muscolare spinale viene raggiunta tramite un’analisi genetica, eseguita su un prelievo di sangue, che verifichi l’assenza di copie del gene SMN1. Il sospetto clinico viene posto, ad esempio, in un neonato con ipotonia, riduzione o assenza dei riflessi osteo-tendinei, pianto flebile e difficoltà nella suzione, così come in un bambino con alterata o ritardata acquisizione delle tappe motorie fisiologiche (controllo del capo, posizione seduta e camminata autonoma).
In considerazione dell’esistenza di forme i cui primi sintomi insorgono dopo l’età evolutiva, anche una debolezza a carico della muscolatura prossimale degli arti (in particolare del muscolo quadricipite femorale) dovrebbe essere attentamente indagata, includendo tra le moltissime ipotesi, se compatibile, anche la SMA. Di supporto possono essere gli esami del sangue (con, ad esempio, il riscontro di un modesto ma non eccessivo aumento di un segnale di danno muscolare, chiamato creatin-fosfochinasi o CK-CPK), l’elettromiografia con esame ad ago elettrodo e, nei casi di più complessa interpretazione, la biopsia muscolare.
Dal momento della presa in carico presso un centro esperto e specializzato in malattie neuromuscolari e nel trattamento della SMA, i controlli periodici per il paziente con atrofia muscolare spinale prevedono un approccio multidisciplinare:
Pneumologico, attraverso prove spirometriche che valutino la capacità di espansione dei polmoni, la forza dei muscoli della gabbia toracica, il picco della tosse e gli aspetti respiratori durante il sonno, per identificare l’eventuale necessità di un supporto tramite macchine di ventilazione o di assistenza della tosse.
Foniatrico-Nutrizionale, in merito alla difficoltà comunicativa ed eventuale necessità di supporto logopedico, problemi di deglutizione e stipsi, prevedendo anche una valutazione regolare della glicemia e del peso corporeo, al fine di impostare programmi dietetici specifici e individualizzati.
Fisiatrico-Fis ioterapico, atto alla valutazione della necessità di ortesi o ausili, al mantenimento di un programma di riabilitazione motoria e, se indicata, respiratoria, così come alla possibile proposta di una terapia occupazionale per lo studio di strategie di adattamento nelle azioni della vita quotidiana.
Ortopedico-Endocrinologico, per la salute dell’osso, condotto tramite le radiografie periodiche della colonna per il monitoraggio dell’eventuale scoliosi e del suo trattamento (chirurgico o conservativo, tramite bustini), la misurazione dei valori nel sangue di vitamina D e di sali minerali come il calcio, che insieme alla densitometria ossea permettono di identificare la possibile riduzione di densità minerale dell’osso (ovvero un suo indebolimento, con un conseguente aumento del rischio di fratture).
Vaccinale, per la prevenzione di alcune infezioni potenzialmente gravi, a partire dall’influenza e dalla polmonite pneumococcica fino al Covid-19.
Ad oggi (gennaio 2022, N.d.A.) esistono diverse opzioni terapeutiche, da discutere e valutare con il proprio centro curante per definire al meglio un percorso di cura condiviso: Onasemnogene abeparvovec (terapia genica con una singola somministrazione endovenosa rimborsata in Italia per i pazienti pediatrici con SMA di tipo 1 e caratteristiche specifiche di peso, esordio dei sintomi e copie di SMN2), Risdiplam (sciroppo da assumere per bocca una volta al giorno, indicato per i pazienti a partire dai due mesi di età con una diagnosi di SMA di tipo 1, tipo 2 o tipo 3 o aventi da una a quattro copie di SMN2) e Nusinersen (approvato genericamente per la SMA 5q e a somministrazione intratecale periodica, ossia attraverso una puntura lombare condotta in ambiente ospedaliero ogni quattro mesi, dopo le quattro infusioni “di carico” eseguite nei primi 63 giorni dall’inizio della terapia).
Per quanto riguarda la SMA nel paziente adulto, per il quale la scelta ricadrebbe tutt’oggi su Nusinersen o Risdiplam, al momento non si può definire con certezza una superiorità di uno rispetto all’altro, in particolare per l’attuale mancanza di studi di confronto diretto tra i due farmaci. La strategia terapeutica va quindi definita sulla base di diversi parametri, quali la gravità della malattia e le caratteristiche fisiche del paziente (ad esempio una scoliosi molto severa potrebbe rendere difficile l’esecuzione della puntura lombare), le preferenze dello stesso, ma anche gli aspetti logistici e organizzativi (infatti Nusinersen viene somministrato ogni quattro mesi in ambiente ospedaliero, mentre Risdiplam è assunto al proprio domicilio, però una volta al giorno e con necessità di conservazione a temperatura frigorifera).
In conclusione, l’impegno della comunità scientifica che si occupa dell’atrofia muscolare spinale è quello di scrivere una nuova storia della malattia, necessitando nondimeno di una partecipazione attiva da parte dei pazienti e delle loro famiglie nel percorso di cura, nell’ottica di un costante e proficuo interscambio con il proprio centro curante.