Tu sì e tu no: dilemmi etici e pratici ai tempi del Coronavirus (2ª parte)

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Si riprende un argomento parecchio spinoso riguardante la “sanità selettiva” iniziato a dicembre del 2020 su Vincere Insieme.

Nel numero del dicembre 2020 di Vincere Insieme, e quindi in piena pandemia, avevamo pubblicato un lungo articolo su un argomento sanitario parecchio spinoso. Così avevamo scritto nell’introduzione: “Oltre a molte altre complessità di varia natura, il Coronavirus ci ha posto di fronte a un dilemma dai risvolti tanto importanti quanto delicati: si tratta della scelta di chi curare imposta dalla carenza di risorse e provocata a sua volta dall’abnorme affluenza di pazienti”. Seguiva una serie di notizie e di testimonianze, anche drammatiche, sulla prima ondata pandemica.
Riassumendo, si evidenziava come in numerosi paesi del mondo, di fronte all’inesorabile incalzare dei contagi e dei pazienti in condizioni critiche, si provvedesse a privilegiare chi era più giovane o comunque non avesse patologie importanti, dando quindi la precedenza a chi aveva maggior speranza di vita e trascurando il normale criterio di accesso alle terapie intensive, basato sull’ordine di arrivo cronologico (cosa che, seppur più di rado e solo in casi particolari, capitava già prima dell’emergenza del Coronavirus).
Naturalmente, da più parti, erano sorte tumultuose disapprovazioni e veementi proteste contro questo modo di operare, definito con disprezzo “sanità selettiva”, cioè nemica degli anziani e delle persone disabili. In Italia il Comitato nazionale per la Bioetica aveva fornito così alcune spiegazioni equilibrate.

Non bisogna eludere il problema dell’allocazione di risorse scarse a fronte di bisogni enormi, bensì lo si deve affrontare stabilendo criteri di priorità nell’accesso ai trattamenti, senza escludere nessuno a priori: si continuano ad adottare i criteri del triage nel pronto soccorso ospedaliero in tempi normali, dilatandoli però alla situazione creatasi con lo scoppio della pandemia. Il Comitato propone quindi un “triage in emergenza pandemica”, riconoscendo il criterio clinico come il più adeguato punto di riferimento e ritenendo ogni altro criterio di selezione, quale ad esempio l’età, il sesso, la condizione, il ruolo sociale, l’appartenenza etnica, la disabilità, la responsabilità rispetto a comportamenti che hanno indotto la patologia e i costi, eticamente inaccettabile. Di conseguenza il Comitato articola il criterio clinico in due concetti: Appropriatezza clinica e Attualità. “Appropriatezza clinica” significa che per ogni singola persona malata si tiene conto della condizione clinica globale, dell’urgenza e gravità della situazione e, in base a tutti i fattori, si valuta ragionevolmente per chi, fra i pazienti, il trattamento può risultare maggiormente efficace, nel senso di garantire la maggior possibilità di sopravvivenza. Non si deve cioè adottare un criterio in base al quale la persona malata verrebbe esclusa perché appartenente a una categoria stabilita aprioristicamente. Invece con l’“Attualità” il Comitato propone, a differenza del triage ospedaliero normale, una sorta di lista di attesa dinamica, dove la valutazione di ogni singolo malato viene condotta tenendo conto della comunità dei pazienti già esistenti. Questa valutazione verrebbe poi aggiornata periodicamente, a seconda delle tempistiche dettate dalla malattia, e possibilmente condivisa da più medici.

Adesso, nel momento in cui stiamo scrivendo e cioè a distanza di quasi venti mesi da questi eventi, si è rischiato seriamente di ritrovarsi in circostanze analoghe, anche se i soggetti sono in parte cambiati. Ad esempio, ci sono due pazienti gravi che arrivano contemporaneamente in un pronto soccorso in cui è rimasto solo più un posto in terapia intensiva: uno è un giovane disabile con le tre dosi regolari di vaccino e l’altro una signora cinquantenne no-vax e quindi non vaccinata. A chi dare la precedenza e secondo quale criterio?
Intanto, alla fine dello scorso anno, la Corte costituzionale tedesca ha accolto il ricorso di alcune persone disabili “che, in mancanza di posti sufficienti in terapia intensiva, sentivano minacciato il loro diritto di accesso alle cure in caso di scelta del paziente da salvare”. Con ciò si era segnalato il vuoto legislativo e sollecitato il parlamento a colmarlo il più in fretta possibile con una legge che proteggesse il diritto dei portatori di handicap a ricevere le cure adeguate anche nei periodi di emergenza. Esemplare è stata una delle motivazioni della Corte: “Nessuno può essere svantaggiato a causa della sua disabilità, mentre di fatto, durante la pandemia, i malati e i disabili corrono un rischio di infezione maggiore, soprattutto quando la loro sussistenza dipende da terzi” (e noi, di solito aiutati da familiari, caregiver e badanti, avremmo aggiunto un bel punto esclamativo finale).
Ritornando comunque al quesito precedente, riportiamo al proposito una dichiarazione di Filippo Anelli, presidente dell’Ordine dei medici.

All’estero e in Italia ci sono medici che ritengono giusto scegliere tra vaccinati e non, così come in passato si è scelto sulla base dell’età, ma spero che non ci si debba più trovare di fronte a questa scelta. Se dovesse capitare, le indicazioni del Comitato nazionale per la Bioetica e quelle degli anestesisti ci possono far orientare in base all’appropriatezza e quindi, sulla base di diversi parametri, cercar di valutare quale paziente può dare la migliore risposta in termini assistenziali e in tema di prospettiva di vita. Ricordiamo però che già ora ci troviamo di fronte a un dilemma etico non indifferente, poiché diamo più posti ai malati di Covid e li togliamo a chi ne ha bisogno per altre patologie. Le conseguenze di questa scelta non si vedono nell’immediato ma nel lungo periodo.

Ulteriori esempi della questione provengono da diversi altri paesi. In Belgio, a inizio anno, si è studiata una mossa estrema, cioè chiudere le porte degli ospedali ai malati gravi di Covid. Infatti, pur senza averlo approvato ma con un “consenso di principio”, è stato preparato un piano per gestire eventuali fasi di emergenza in cui era prevista la possibilità di ricoverare nelle terapie intensive pazienti affetti da malattie diverse, escludendo le corsie preferenziali ai contagiati.
Anche in Francia si è disquisito su una stretta contro i no-vax, in quanto in parlamento si era esaminato un disegno di legge del governo nel quale era contemplata la precisa intenzione di trasformare la tessera sanitaria in tessera vaccinale.
Invece nel Québec, la provincia francofona del Canada, si sono definiti i non vaccinati (esclusi quelli che non possono fare il vaccino per ragioni mediche) come “un fardello per il sistema sanitario”. Quindi è stato annunciato un “contributo sanitario” (vale a dire una tassa, o una multa che dir si voglia) non indifferente a carico di ogni no-vax. Il semplice ragionamento è stato: “Il vaccino è la chiave per combattere il virus e questo è il motivo per cui siamo alla ricerca di un contributo sanitario per gli adulti che rifiutano di essere vaccinati a causa di motivi non medici”.
Infine in Italia un apposito decreto legge ha reso obbligatorio il super green pass per gli over 50 sul posto di lavoro e il vaccino per chi ha superato la soglia di questa età e non lavora. Per gli inadempienti è stata prevista la sanzione una tantum di 100 euro.

Tirando le fila del discorso, bisogna innanzitutto osservare come sia desolante constatare il fatto che l’uomo non impari mai nulla dalla sua pur lunga storia. Ciò premesso l’irrompere sulla scena pandemica dei vaccini e, ahinoi, anche dei no-vax, ha rimescolato le carte, mettendo tutti di fronte a decisioni talvolta complesse e difficili da prendere.
In prima battuta, per chi possiede una mente razionale e scientifica, verrebbe da “ragionare con la pancia”, cioè pensando ai lutti, alle sofferenze e agli enormi sfracelli sociali ed economici (senza contare la cancellazione o la deprogrammazione di una miriade di esami, visite, ricoveri, cure e interventi chirurgici) provocati (a tutti) dalla chiara responsabilità di chi non si è vaccinato, si vorrebbe ricorrere senza sconti alla coercizione, vale a dire all’obbligo generalizzato. E non sarebbe neanche una novità. Infatti, senza scomodare i “bei tempi andati”, giova ricordare che dal 2017 [sic!], in Italia sono obbligatorie per tutti i nuovi nati dieci vaccinazioni: anti-poliomielitica, anti-difterica, anti-tetanica, anti-epatite B, anti-pertosse, anti-Haemophilus influenzae B, anti-morbillo, anti-rosolia, anti-parotite e anti-varicella. Per inciso, sempre nel nostro paese, sono in vigore ulteriori obblighi vaccinali riservati ad alcune categorie professionali: infatti i lavoratori dell’industria edile e metalmeccanica devono vaccinarsi contro il tetano, quelli dell’industria alimentare contro la tubercolosi, il personale medico e ospedaliero contro la tubercolosi, il tifo, l’epatite virale eccetera. E per queste immunizzazioni nessuno ha mai protestato, né sfilato in corteo, né oltraggiato le vittime dei campi di concentramento travestendosi da deportato.
Tuttavia proprio noi, che siamo in possesso di una mente razionale e scientifica, siamo coscienti che l’imposizione vaccinale è un passo molto arduo da compiere, in quanto restano da sciogliere intricati nodi etici e politici. Ricorrere poi al parere dei cosiddetti esperti, siano essi costituzionalisti, scienziati, giuristi o sociologi, contribuisce soltanto a confondere le idee. Che fare allora?

A nostro avviso le soluzioni ci sono e ci permettiamo di elencare le principali: rinforzare e riformare sul serio il sistema sanitario nazionale rendendolo più snello ed efficace nelle sue reazioni, aumentare le ore di educazione civica nelle scuole, rendere obbligatorio il servizio civile (per ora) volontario, incrementare l’alfabetizzazione scientifica e storica della popolazione, condurre una lotta accanita contro ogni forma di fake news, mettere la sordina a un certo tipo di informazione sensazionalistica e istituire un dialogo aperto e continuo con i refrattari antivaccino non integralisti.
Ci rendiamo pienamente conto che sarebbero tutte azioni difficili, lunghe e costose, e metterle in pratica equivarrebbe lo sfiorare un’utopia, ma crediamo che siano l’unica via per uscirne (bene). A questo punto non sarebbe neanche più necessario tentare di convincere i pochi no-vax che resterebbero in circolazione, anche perché il raggiungimento di un elevato livello di immunità di gregge risulterebbe la principale chiave vincente della pandemia. Quindi non ci sarebbe più nessun bisogno di scegliere chi curare, nessun dilemma etico, né forzature: un mondo davvero stupendo!

Solo con la diffusa assunzione di responsabilità da parte di tutti si potrà proteggere la salute della popolazione, a partire dalle fasce più deboli e di coloro che, per particolari patologie, non possono vaccinarsi. La salute pubblica e la piena sicurezza sanitaria sono infatti i prerequisiti fondamentali per la ripresa economica e soprattutto sono il fattore indispensabile per tornare finalmente a dare alle persone una realistica e stabile speranza di un futuro più sereno.

Ritratto di admin_torino

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