Un anno di Covid-19: impatto psicologico e resilienza

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Può la pandemia essere un’opportunità di crescita personale?

Più di un anno fa, esattamente l’11 marzo 2020, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) aveva dichiarato il Covid-19 come una vera e propria pandemia. L’Italia è poi risultata uno dei paesi più colpiti e infatti, già a partire dalla fine del gennaio precedente, era stata proclamata l’emergenza sanitaria, portando il Consiglio dei ministri a misure contenitive via via più stringenti (distanziamento sociale e quarantena), fino ad arrivare al dpcm del 9 marzo 2020, in cui le restrizioni venivano estese a tutto il territorio nazionale, dando inizio al primo lockdown (chiusura totale) che poi era terminato, con la Fase Due, il 4 maggio seguente.
Tutta la popolazione nazionale (e mondiale) si era così trovata a dover fare i conti con un evento eccezionale, mai vissuto prima, un evento che era caratterizzato da una nuova natura e che non aveva permesso di prepararci, catapultandoci in un vissuto di incertezza e imprevedibilità. In realtà ansia, angoscia, preoccupazione e paura sono reazioni tipiche di fronte ad un contesto minaccioso, tuttavia i nostri sistemi di difesa si sono evoluti per rispondere in modo adattivo a situazioni di pericolo e per permetterci di fronteggiare avvenimenti critici.
In questi frangenti, sebbene non siano emerse significative differenze rispetto al vissuto psicologico, le persone con una patologia neuromuscolare hanno mostrato, riguardo al contagio da Covid-19, una maggior preoccupazione legata al proprio quadro clinico e in alcuni casi connessa al non sentirsi riconosciuti come soggetti fragili. Inoltre non sono mancate le difficoltà pratiche legate alla gestione degli assistenti personali e del ménage quotidiano, difficoltà nel compiere azioni routinarie come fare la spesa o effettuare visite mediche (periodiche, di prevenzione, riabilitative eccetera).
L’iniziale entusiasmo nel sentirsi parte di una globalità che sta lottando per il bene comune (ricordiamo tutti gli hashtag #iorestoacasa e #andràtuttobene) ha lasciato presto spazio, a causa dell’isolamento forzato e della distanza sociale, a frustrazione, malinconia, tristezza, noia, solitudine e mancanza dei propri affetti.

E’ stato quindi fondamentale lavorare sulla gestione delle emozioni, sulla mancanza di evasione e anche di quella routine che faceva star bene, sull’assenza fisica delle persone e del contatto umano e su quella continua incertezza che rende difficile pianificare il futuro.
Come possiamo, dunque, fronteggiare un evento critico come la pandemia, con la sensazione di destabilizzazione e la sofferenza che ne consegue?
In psicologia esiste un concetto vitale: la resilienza. La resilienza è la capacità dell’individuo di riuscire ad affrontare eventi stressanti o traumatici e di riorganizzare in modo positivo la propria vita. E’ una risorsa che permette di autoripararsi dopo un danno, di adattarsi alle avversità e ai cambiamenti. Essere resilienti implica una dinamica positiva, una capacità di andare avanti che permette la ricostruzione di un percorso di vita. Tuttavia essere resilienti non significa non sentirsi in difficoltà, o non provare dolore e sofferenza, significa imparare a “sostare” in quel dolore, prenderne consapevolezza e trasformarlo in un vissuto che ci renda migliori.
La resilienza non è un tratto stabile e immutabile della personalità, è una funzione psichica che si modifica nel tempo in rapporto all’esperienza, ai vissuti e al cambiamento dei meccanismi mentali che la sottendono e di conseguenza può essere appresa, migliorata e sviluppata. Visualizzare e immaginare scenari positivi, aumentare la propria autostima, concentrarsi su di sé e sulla cura del proprio corpo, focalizzarsi su ciò che è in nostro potere controllare e cambiare, porsi obiettivi concreti e sfide, gestire le emozioni e spostarsi da quelle più spiacevoli a quelle più funzionali, sono alcuni dei meccanismi sui quali è possibile lavorare per incrementare i propri livelli di resilienza.

In questo caso, proprio a causa dell’isolamento sociale e della solitudine che hanno contraddistinto questa crisi, è stato essenziale promuovere la connessione, il supporto sociale e la possibilità di chiedere aiuto quando risultava necessario.

Le persone affette da una patologia neuromuscolare sanno quanto possano essere fondamentali questi meccanismi per affrontare la vita di tutti i giorni. Messi ancora una volta alla prova c’è chi ha scoperto nuove abilità e le ha tradotte in pratica, chi ha affrontato le proprie paure e le ha superate, chi ha continuato a fare progetti per il futuro e non ha mai smesso di sognare, chi ha compreso quanto alcuni limiti erano autoimposti, chi si è concentrato sul proprio benessere, chi ha scoperto i vantaggi dello smart working e chi ha deciso che era giunto il momento per quel particolare cambiamento tanto procrastinato. Tutti questi soggetti hanno reso davvero la pandemia un’opportunità di crescita personale e di riflessione su di sé. Comunque, a oggi, molte domande rimangono ancora senza risposta: quando scomparirà il Coronavirus? Il vaccino sarà la soluzione? Ritorneremo davvero ad abbracciarci? Potremo di nuovo spostarci liberamente? Quali saranno le ripercussioni sociali ed economiche delle continue chiusure? Il mondo sarà cambiato quando sarà tutto finito? A oltre un anno dall’inizio della pandemia, frustrati e stanchi, non possiamo che vivere il presente, il qui e ora, con la consapevolezza di noi stessi, per non vivere con inerzia ed essere spettatori di quello che accade, bensì attori resilienti, protagonisti della nostra vita.
Il dolore, quando lo hai provato, ti cambia e non sei più la stessa. Magari migliore, ma mai uguale.

(Barbara Garlaschelli)

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