Le debolezze dell’uomo non sono una condanna, bensì possono diventare un’opportunità preziosa per rinsaldare i legami della nostra socialità e quindi proteggerci e farci sviluppare. Di questo parla monsignor Vincenzo Paglia nel suo libro “La forza della fragilità”
Il titolo è indubbiamente d’effetto: “La forza della fragilità”. Così, senza pensarci troppo, afferriamo il libro e ci dirigiamo verso la cassa per pagare. Arrivati a casa non ci facciamo incantare dalle aromatiche sirene del ragù in cottura e ci precipitiamo a sfogliare il nostro acquisto. Scopriamo in fretta che l’autore è un arcivescovo, per la precisione monsignor Vincenzo Paglia, poi, fin dalle prime pagine, veniamo catturati da una folgorante constatazione, purtroppo confermata da questi tempi di pandemia e guerre: le debolezze dell’uomo non sono una condanna, bensì possono diventare un’opportunità preziosa per rinsaldare i legami della nostra socialità e quindi proteggerci e farci sviluppare.
Dovremmo proprio andare a tavola, tuttavia, impazienti, apriamo a caso qualche altra pagina del libro. Scrive, qua e là, monsignor Paglia:
Siamo tutti esseri fragili: le persone, gli anziani, i bambini, ma anche le istituzioni, i governi e pure i paesi più ricchi, perché nonostante il progresso e i risultati straordinari della scienza e della tecnologia, siamo in balìa dell’imprevisto assoluto. In fondo ogni essere vivente nasce vulnerabile, anche se riconoscere questa verità lapalissiana non è poi così scontato, poiché in genere preferiamo ignorarla o peggio ancora considerarla come una vergogna. Però essa serve per capire che la debolezza può avere una sua forza, cioè quella di incoraggiare a prenderci cura gli uni degli altri, ricordandoci che nessuno è in grado di salvarsi da solo.
La scoperta archeologica dello scheletro di un uomo neanderthaliano con segni di grave disabilità e la cui esclusione dal gruppo era evidentemente considerata già allora come inconcepibile, porta a concludere che la fragilità sia nel cuore stesso dell’evoluzione. Questa scelta primitiva, contraria all’utilità dell’evoluzione semplicemente biologica, sollecita una riflessione più attenta sulla fragilità come origine della solidarietà. Da ciò nascono necessità ben precise, come ricondurre il welfare a livello territoriale e ristrutturare l’assistenza diffusa per tutti. Si avverte la pressante urgenza di dare vita a una nuova cultura, in cui il sostegno a chi soffre deve diventare un imperativo categorico.
A questo punto però occorre vincere l’egoismo e l’indifferenza riguardo chi non ce la fa, sostenendoci a vicenda in quanto esseri umani residenti in una casa comune. Ricostruire legami sociali genuini e dare nuovo impulso all’altruismo, ci permetterà allora di conseguire un rinnovato benessere, dove la fraternità potrà essere alimentata quotidianamente dalla compassione universale e da una benvenuta alleanza dei fragili.
Ecco: come sempre abbiamo ceduto al nostro brutto vizio di saltabeccare tra i capitoli per arrivare alla conclusione dell’opera. Tuttavia, proprio in virtù di questa sommaria sfogliatina, ci siamo resi conto dell’importanza e del valore di questo libro. Quindi, al netto dei numerosi (seppur comprensibili) riferimenti religiosi dell’autore, è senz’altro consigliabile effettuare questa lettura con calma, gustando concetti e ragionamenti profondi e, nel contempo, rivoluzionari, malauguratamente mai così utili come in questa epoca.
E adesso andiamo a tavola: ci sono le tagliatelle che ci aspettano!