Le parole giuste: media e persone con disabilità

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La diversità è identificata come parte comune della condizione umana e quindi alla persona disabile va garantito, mediante i giusti e adeguati sostegni, il diritto inalienabile ad avere, come chiunque altro, un proprio percorso esistenziale nella prospettiva della migliore qualità di vita possibile. 

Recentemente, a cura dell’Istituto bancario Intesa Sanpaolo e con la collaborazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dell’Anffas, è stato pubblicato un importante libriccino contenente varie linee guida utili a un adeguato approccio al tema della disabilità.

Infatti, prendendo esempio da analoghe iniziative intraprese in altri paesi, “Le parole giuste” è un progetto della struttura Media and Associations Relations di Intesa Sanpaolo, sulla scorta dell’ampia attività del Gruppo per l’inclusione e la valorizzazione delle diversità, “sia con policy interne destinate alle proprie persone, sia con attività verso l’esterno in collaborazione con le associazioni di riferimento per iniziative congiunte”. Il testo è stato liberamente tratto, adattandolo alle caratteristiche della lingua italiana, dalla “Disability language style guide”, redatta a sua volta dallo statunitense National center on disability and journalism dell’Arizona State University. Nell’Introduzione si parla poi di voler esercitare un particolare incoraggiamento per chi, quotidianamente, aspira a superare i propri limiti e a entusiasmarsi per una vittoria.

Il tema centrale dell’opera trae spunto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, attuata in Italia grazie alla Legge del 3 marzo 2009. Ebbene questa ratifica sottintende che l’intero ordinamento e la società civile debbano ispirarsi e conformarsi, a tutti i livelli e in tutti i contesti, ai princìpi e alle indicazioni contenute nella suddetta Convenzione.

Come tutti (o quasi) sanno, essa ha proposto un’innovativa considerazione della disabilità, superando definitivamente il precedente approccio pietistico, assistenziale e medico, giungendo così a una nuova definizione di persona con disabilità. In pratica, riassumendo, la diversità è ivi identificata come parte comune della condizione umana e quindi alla persona disabile va garantito, mediante i giusti e adeguati sostegni, il diritto inalienabile ad avere, come chiunque altro, un proprio percorso esistenziale nella prospettiva della migliore qualità di vita possibile. La rivoluzione copernicana è avvenuta laddove la disabilità non è stata più intesa come una caratteristica corporea, confondendo persona e malattia, bensì è stata evidenziata l’interazione negativa con il contesto inadatto come causa disabilitante.

E’ evidente che tali propositi, a oggi, non sono ancora stati pienamente conosciuti, accettati e applicati, anche perché, purtroppo, nella società residuano antichi retaggi e pregiudizi più o meno inconsci. Proprio in conseguenza di ciò i media rivestono un ruolo basilare nello stimolare questo cambio di visione e di paradigma e pertanto, come “guida”, devono essere consapevoli della grande responsabilità esercitata nella diffusione di una corretta informazione alla collettività. A questo punto l’utilizzo di un linguaggio avveduto, e lo scrupoloso rispetto dei diritti di tutti, s’impongono quali fondamenti imprescindibili di un valido operare.

La pubblicazione in oggetto è suddivisa in una sezione di carattere generale, contenente agili linee guida utili per affrontare il tema della disabilità con un adeguato approccio, un capitolo con le definizioni e i princìpi da adottare, una parte costituita da un vocabolario lessicale che presenta i termini da preferire nel parlare di disabilità e infine l’elenco di alcune diagnosi che possono determinare una condizione di disabilità.

Queste preziose pagine sono scaricabili gratuitamente da <https://group.intesasanpaolo.com> e meritano non solo un’approfondita lettura, ma anche la più ampia diffusione. Tanto per rendere l’idea, riportiamo alcuni passaggi significativi

Vanno evitate sia le narrazioni che vedono la persona con disabilità descritta come “vittima” sia come “eroe” (va dunque evitato in ogni caso il sensazionalismo). Allo stesso modo è bene evitar di utilizzare eccessivamente come esempi storie di atleti paralimpici o comunque di soggetti che rientrano in una casistica di “successo” estremamente limitata. La cosa migliore rimane raccontare la “normalità” dell’individuo, della sua vita, del suo contesto.

La deistituzionalizzazione è un termine che fa riferimento all’insieme di azioni volte a favorire l’uscita delle persone con disabilità dalle strutture residenziali ritenute a rischio di segregazione, dove, a causa dell’elevato numero di abitanti e alle caratteristiche strutturali ed estetiche, rischiano di perdere la propria dimensione e identità e di non avere adeguati spazi personali e intimi.

Secondo l’art. 4, comma 3 della Convenzione ONU, le persone con disabilità non sono oggetto di intervento di altri, bensì sono soggetto di cambiamento e il loro coinvolgimento nelle decisioni legate ai loro diritti produce innovazione, perché mette in campo la diretta esperienza e la competenza delle organizzazioni che le rappresentano.

Nel corso dei secoli le persone con disabilità sono state colpite da un forte stigma negativo che ha costruito una visione culturale e sociale che le considera incapaci di essere persone a pieno titolo nella società ordinaria, una sorta di deficit di cittadinanza che considera ovvio il ruolo loro assegnato nella società: qualcuno deve occuparsi di loro, prendere in carico la loro condizione, espropriandoli dell’autonomia, dell’autodeterminazione, dell’indipendenza e dell’inter-indipendenza con gli altri cittadini nelle loro comunità di vita. Questo stigma impregna, spesso in maniera inconsapevole, decisioni culturali, economiche, tecniche e politiche, rendendo queste persone invisibili, relegate a interventi speciali e non beneficiarie delle politiche generali.

La locuzione “diversamente abile” è diventata di moda negli anni ‘90 perché considerata un’alternativa più adeguata a “disabile”, “handicappato” o “ritardato”, termini già tutti connotati negativamente. Ma oggi neanche la locuzione “diversamente abile” appare più in linea con i moderni paradigmi di approccio alla disabilità, in quanto pone, in modo superfluo, l’accento sulla “diversità”, oggi considerata una condizione umana normale in quanto ciascuna persona è diversa dall’altra, a prescindere che vi sia o meno una disabilità e non, come più volte detto, sulla persona. Se poi si analizza il termine nel suo contrario, tipica forma filosofica di analizzare l’efficacia descrittiva di un termine, si scopre che siamo tutti diversi anche nelle capacità, quindi il termine “diversamente abile” non risulta descrittivo di una condizione specifica.
Quando si parla di modello della qualità di vita, si fa riferimento a un costrutto con il quale è possibile misurare il livello di soddisfazione che ciascuno ha, in base ai propri desideri, bisogni e aspettative. In tale modello la prospettiva della qualità di vita viene rappresentata dall’articolazione di otto domini: benessere fisico, benessere materiale, benessere emozionale, autodeterminazione, sviluppo personale, relazioni interpersonali, inclusione sociale, diritti ed empowerment. Ci sono degli studi che dimostrano una stretta correlazione tra i singoli articoli della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità e gli otto domini della qualità di vita.

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Margaret

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